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DERIVA 03

DERIVA 03

Si scoprono un sacco di cose, camminare per la città diventa praticare una forma di narrativa viva, in cui tracce, mondi, storie, possibilità si succedono con piglio romanzesco. Per sbaglio stavo aspettando gli altri davanti all’ingresso del carcere. Invece che sul fianco. Tempo due minuti, le guardie, dalla portineria, mi chiedono se stò aspettando che esca qualcuno…

mi chiedo se la presenza del carcere influisca sulla vita delle persone che ci vivono accanto. Forse alla maggior parte della gente quello che succede dietro le sbarre non interessa, o forse affacciandosi alla finestra si chiedono che cosa stanno facendo la dentro…
Quello delle antenne che si moltiplicano, è un elemento del paesaggio che mi incuriosisce e penso che nelle nostre esplorazioni dobbiamo provare a tenerci un occhio sopra.
Con infinito stupore ci accorgiamo che la strada c’è, non solo: la volta scorsa ci siamo passati davanti e non l’abbiamo vista. Ho innalzato un ode ai santi ringraziandoli dei km in più che ci hanno regalato, poi abbiamo imboccato la stradina che ci avrebbe condotto al borghetto di Sollicciano.
Un grande punto interrogativo.
Pensavo che Sollicciano era solo il carcere, invece prima fu il borgo, poi il carcere. La chiesa è animata da un piccolo viavai di famiglie, vecchiarelli e bambini che, una volta finita la messa, si dirigevano a salutare i loro avi sepolti nel cimitero di fronte. Ci scrutavano cercando di capire cosa ci faceva gli alieni a Sollicciano il giorno della Befana. Io mi ero incantato ad osservare la consistenza della terra appena arata nel campo antistante, mi sono accorto solo all’ultimo che il guardiano (becchino) del cimitero, rimbrottava Lorenzo per la sua curiosità.

… non per la curiosità, ma perché non si potevano fare foto dentro il cimitero, ed io mi stavo avviando per entrare. Comunque era tranquillo. Un magrebino credo… abbastanza giovane… Ora so che oltre alle Coop, non si possono fotografare i cimiteri. Piuttosto devo dire che a me, mi affascinano le foto dei morti sulle lapidi. Soprattutto quando ce ne sono tante tutte in serie, che ti guardano come il pubblico di uno spettacolo teatrale… Sembra il cimitero della Pop-Art… il cielo è grigio. Giriamo uno spino.
Chi ha costruito quel ponticello non ha tenuto in considerazione l’esistenza dei pedoni.
Siamo lungo la greve, sotto un pilone di cemento armato un motorino bruciato, ciottoli, manifesti pubblicitari attaccati, di circo principalmente, che in realtà non si capisce bene perchè li abbiano attaccati, dato che dopo chi li ha messi, ci siamo passati solo noi da quel luogo remoto…
La tipica terra di nessuno, dove non c’è motivo di andare.
Lasciamo il fiume all’altezza del campo giostrai: ne avevamo ià incontrato uno nella prima deriva, vicino all’Olmatello credo. E questi giostrai ci riconosceranno in seguito, alle giostre delle Cascine. Tra le case-camper e i panni stesi, c’è qualche cane sciolto, sperando che fiutino che la nostra coscienza è pulita, e raccontiamo con frasi secche, a chi ce lo chiede, quello che stiamo facendo.
Quella delle opere iniziate e poi sospese senza mai essere finite. Chissà cosa è successo, che ha fatt sospendere la costruzione di questo bunker di cemento. Naturalmente pensiamo subito “però che figata farci una festa dentro…”
L’immagine di una vecchietta scappata via per caso da un paesino sperduto dell’entroterra siciliano di cinquant’anni fa, che butta via una scatola di cartone più grossa di lei… le strade strette, le botteghe, più che i negozi… un clima ovattato e soffuso, a tratti soffocante. Ed eccoci in mezzo alla periferia urbana, quella dei palazzoni, dell’ espansione residenziale della città. Luoghi anonimi, dominati dall’automobile, dalla sfera mobile privata, dove pure le tracce di vita quotidiana emergono di tanto in tanto con forza drammatica. Come nel caso di un’accorata richiesta di lavoro…
Nelle nostre esplorazioni, mai abbiamo incontrato un luogo totalmente ostile, si è vero, ti guardano come un marziano, ma non necessariamente chiudono le porte, tirano giù le persiane, quelli che ti privolgono la parola lo fanno spesso per insultarti perché stai facendo le foto…
L’Argingrosso è uno dei posti più affascinati di Firenze, forse perché in un territorio tutto così denso, sfruttato e privatizzato, è uno dei pochi luoghi trascurati, inselvatichiti, dove trovano spazio forme di vita interstiziali. Nel corso del nostro safari ci siamo arrivati stanchi, dopo un lungo tragitto e quindi vi abbiamo dedicato poca attenzione.
Un filare di alberi che crescono con le radici nel fiume è tutto infestato di buste di plastica e residui non biodegradabili portati dall’acqua, che lasciano una traccia forte dell’intensità degli elementi in piena. Mentre scendo per andare a filmare da vicino gli alberi, in mezzo all’erba verde brillante trovo una polaroid di un cazzo semi-eretto.
La luce è peggiorata, la stanchezza si fa sentire e nella truppa serpeggia la voglia di sospendere l’esplorazione per riprenderla in condizioni più favorevoli.
Sulla passerella dell’isolotto, il trend del momento è il pantegana watching, attività che si basa sull’accorata comparazione di scala, tra le spocchiose nutrie flottanti e i piuttosto frottanti rattoni dell’Arno.
Un gruppetto di suore in gonnella bianca e un tipo in borghese non bene identificato, parevano usciti da un film di Tinto Brass…
Non vorrei essere petulante ma questa è tutta colpa de “La Nazione” e delle sue campagne di terrore
“bello come una carcere che brucia”
C’è chi può riprendere e chi no. Chi fotografa chi riprende, chi decide chi è amico e chi è nemico… merda, mi sta andando il cervello in acqua un’altra volta
E dire che subisco un certo fascino “casavettesiano” dell’atmosfera e dei personaggi dell’ippodromo. Proprio perchè sono così sparuti. L’atmosfgera dell’ippodromo mi pare particolarmente magica, con tutta la routine di attesa, confabulazione, cavalli che scaldano in pista, e poi la corsa al trotto che si conclude sulla linea proprio davanti al nostro naso. Così, senza la folla urlante e  la concitazione che siamo abituati a vedere nelle grande manifestazioni sportive televisive, tutta la cosa appare assai più irreale, con cavalli, fantini e il piccolo pubblico di scommettitori dai gesti incalliti e rituali che sembrano delle comparse messe lì apposta per noi, offrendoci una godibilissima piece teatrale.
Qualcuno esclama: “noooo il tunnel della droga!” e in effetti… un tunnel dentro il ponte, di cui non si vede l’uscita… manca solo il bianconiglio, o meglio, la bian pantegana. E il pensiero di un tete a tete con un topastro malefico, mi fa rimanere dall’altro lato, mentre gli altri affascinati si muovono per scoprire dove porta…
Mi viene da pensare che i graffitisti, alla ricerca di posti tranquilli per fare i loro pezzi, conducono una fantastica pratica  di esplorazione urbana. Riconosciamo la mano di diversi writers che hanno segnato Firenze…Ecco una linea diritta come quella che abbiamo tracciato con la riga sulla mappa… il mugnone.
Un sacco di posti vuoti molti veramente belli… e su tutti, la manifattura tabacchi. Il sogno di una vita
Se provavi ad affacciarti di la dal muro, si vedeva solo la caserma: immensa.
Che cacchio ci fanno con tutto quello spazio i militari? Quando ributto gli occhi sulla nicchia, la gente si stava arrampicando nei peggio posti…
Mi sono rattristato un po’ all’idea di dover condividere la conoscenza di quel posto con quelle persone: era come se io e la mia crew avessimo scoperto un indicibile segreto urbano, a cui potevano accedere solo menti tormentate e traslucide, prodotti di notti insonni e forsennata ricerca della verità. Poi ti vedi arrivare un perfetto sconosciuto, che con il suo passeggiare placido ti guarda come a dire “Hei bello! É inutile che fai quella faccia, io conosco questo posto da vent’anni”.
Ma hanno i balconi (struttura per lo più sconosciuta a Firenze), hanno i giardini comuni, il posto auto riservato, lo spazio cani, il barbecue collettivo e altri simpatici gadget che ti permettono di avere una vita sociale e relazionale con chi ti vive intorno
sono la variante morbida all’alienazione.
Sul condominio di fronte campeggia la scritta “ VIETATO IL GIOCO DEI RAGAZZI”. Che culo crescere qui…
I piccioni hanno già iniziato ad abitarsi all’idea, appollaiandosi sul bordo del disegno, tutti concentrati nella zona dove sono disegnati i vecchietti  che gli tirano il pane. Lontano dai bambini che li rincorrono. Questi piccioni fanno la cacca sul disegno del parco.
E mi accorgo che tutti i pali della luce sono stati numerati. Apparentemente di recente con degli adesivi con un codice a barre.

Posted in deriva psicogeografica.

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